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Domus Dei

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Lorenzo Bonadè
Domus Dei

Arduino Sacco Editore, Roma 2013, pp. 60, € 9,90.

Poe nel suo racconto L’uomo della folla parla di un libro che non si lascia leggere: Domus Dei di Bonadè al contrario è un libro che si deve leggere e che una volta aperta la prima pagina ci attrae al punto da seguire una storia che non è solo ipotesi. Ciò che ne costituisce la sostanza è il paradosso, o meglio ciò che tale potrebbe apparire. Come certi poeti maudits c’è un segnale lontano che ci perviene: all’Alchimia del verbo si sostituisce quella del Nulla, alla fame di pietre quella dell’aria — ma poi i riscontri finiscono praticamente qui.
In primo luogo il linguaggio destoricizzato pone delle idee e prosegue in un percorso interiore ed esteriore in cui la bellezza, sia pur caotica, mai si deturpa, a volte la ritroviamo nell’orrore, in una presenza biologica scavata fino in fondo, che non esaurisce la psicologia del personaggio in virtù della sua molteplicità: ‘ho vissuto centinaia di incarnazioni’ (p. 9); e ogni volta il ruolo si espande per poi ridursi e far nascere il suo contrario. È un prezzo che si deve pagare: ‘per divenire Santi, bisogna essere stati prima Criminali’ (p. 24). Ne consegue che il riprodursi nel tempo rappresenta anche l’incontro delle nostre diversità, quel che ieri si era oggi non si è più: un divenire incessante, che scardina qualsiasi certezza, né sappiamo distinguere tra realtà e sogno o l’estremo limbo dei paradisi artificiali.
Nel viaggio tra spirito e materia incontriamo sfasature e passaggi obbligati entro cui si tenta di costruire un punto fermo, ma l’elemento primario ci sfugge, né un’eventuale analisi è decisiva, poiché le nostre percezioni ci ingannano quando cerchiamo di fermare il moto perpetuo delle cose o rievocare istanti fuggevoli, perciò non si può essere puri se non nelle intenzioni: ‘tutto è contagio’ (p. 35). L’autore non vuole che la sua opera possa ‘divenire oggetto di studio’ (p. 41) perciò ogni indagine appare fuori luogo, per quanto una struttura esista nelle varie sezioni che partendo dal Prologo arrivano all’Epilogo, là dove il gioco finisce (p. 59): esiste quindi un prima e un dopo fissato in modo perentorio.
Vanno allora comprese le rivelazioni che evidenziano la gratuità dei segni e delle scelte, anche se il poeta afferma che sarà sempre contro (p. 26): il tentativo di uscire da una identità finisce per mostrare la doppia superficie dell’io, per cui le azioni si riflettono l’una nell’altra, agendo quale parte oscura o luminosa, per incidere in una storia che è sempre unica e irripetibile.
Questo ‘profetico fanciullo’ ci consegna intuizioni che vanno oltre la sua stessa linea di esistenza: a tratti si intravede la verità, forse nell’immagine fulgida e dolente che troviamo (p. 9) come in un ampio cerchio che conclude ma non si oblia, figura angelica e ‘violinista in erba’ — un suono suggestivo di cui rimane l’eco in altre, inesplorate cattedrali.

© Luciano Nanni giugno 2013

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